Cinque sale in Castelvecchio ripercorrono la storia dell’archeologia del territorio regionale. I reperti ricostruiscono la vita degli insediamenti più antichi partendo da 13.000 mila anni fa per arrivare sino al VI sec. d.C.
La sezione archeologica, rimasta chiusa circa un anno per i numerosi prestiti alla mostra “Le grandi vie delle civilità” allestita prima al Castello del Buonconsiglio nell’estate del 2011 poi trasferita a Monaco fino alla fine di maggio 2012, è stata riaperta nella settimana di Ferragosto, dando così ai visitatori la possibilità di scoprire gli importanti reperti che ripercorrono la storia del territorio.
Nel corso dell’Ottocento e agli inizi del Novecento la ricerca archeologica in Trentino fu attraversata dall’aspirazione irredentista nazionale di affermare l’italianità del territorio attraverso lo studio delle più antiche presenze umane nelle valli dell’Adige e dei suoi affluenti. Tra i cultori di storia patria, il conte Benedetto Giovanelli (1775 – 1846), a lungo podestà di Trento, diede vita al primo nucleo del Museo fondato nel lontano 1853. A Giovanelli si deve anche il recupero della celebre situla di Cembra, contenitore in metallo di produzione locale erroneamente attribuito alla civiltà etrusca.
Nel 1924 venne inaugurato nel Castello del Buonconsiglio il Museo Nazionale Trentino, dove per la prima volta, furono raccolti ed esposti in maniera organica molti reperti archeologici rinvenuti sul territorio. Di seguito, negli anni Ottanta, la Soprintendenza archeologica presentò una selezione della collezione mentre nel 2006 a conclusione di restauri, che hanno portato a norma gli impianti tecnologici delle sale, ha riaperto al pubblico la sezione archeologica del Museo, rinnovata ed ampliata. Il percorso espositivo e i pannelli sono stati completamente rivisti, sia nei testi che nella grafica, e alle tre sale originarie se ne sono aggiunte due. Una delle sale, grazie alla collaborazione della Soprintendenza ai Beni architettonici, ha visto l’apertura di un’antica finestra che dal cortile di Castelvecchio offre un suggestivo scorcio all’interno della sala dei “tesori” paleocristiani.
Le collezioni, dislocate in Castelvecchio, sono suddivise in tre sezioni: Preistoria e Protostoria, quindi l’epoca romana e infine l’Altomedioevo. Gli oggetti esposti, che testimoniano compiutamente la ricchezza delle raccolte custodite nel Castello del Buonconsiglio, sono circa 600 e sono stati rinvenuti nel corso degli ultimi due secoli sul territorio trentino. Alcune vetrine, ideate dall’allestitore Gigi Giovanazzi, presentano delle installazioni scenografiche che rievocano le situazioni originarie di ritrovamenti, come nel caso degli scavi di Ledro, dei forni fusori del Redebus e dei roghi votivi di Mechel. Il percorso prende avvio dai tempi dei cacciatori e raccoglitori del Mesolitico del VII-VI millennio a.C. Seguono vetrine dedicate agli sviluppi tecnologici e culturali dell’età del Rame e si susseguono oggetti d’oro, attrezzi da lavoro, oggetti d’ornamento e armi simboli di potere e prestigio. Tra questi pugnali, spade, spilloni, collari e una splendida collana in ambra del XVI-XV secolo a.C., proveniente da una torbiera tra Cles e Tuenno. Particolarmente ricca la documentazione della stazione palafitticola di Ledro (XXII – XIV a.C.). Una vetrina è dedicata a pregevoli statuette in bronzo che raffigurano, secondo i canoni etrusco-italici, Ercole in assalto, Guerrieri, Devoti e Marte. Nella sezione riservata all’epoca romana spiccano alcune sculture in marmo di importazione ed una base di candelabro decorato con figure di leggiadri satiri danzanti: naturalmente grande rilievo è rivestito dalla Tavola Clesiana, la più importante tra le iscrizioni romane scoperta in Val di Non. E’ una tavola di bronzo sulla quale è inciso l’editto dell’Imperatore Claudio del 15 marzo del 46 d.C. Si tratta di una sorta di “condono” con il quale veniva riconosciuta alle popolazioni alpine degli Anauni, Sinduni e Tuliassi la cittadinanza romana che da tempo, pur non avendone i diritti, si comportavano come romani a tutti gli effetti. L’Altomedioevo è ben rappresentato da splendidi orecchini in oro e ametista della “principessa” di Civezzano, da un reliquiario, da un sacramentarium, da corredi funebri, da lucerne in ceramica con simboli cristiani. Il diffondersi del cristianesimo è testimoniato da preziose croci in lamina d’oro originariamente cucite sul velo dei defunti dell’aristocrazia longobarda. La sezione archeologica culmina nella sala dove è stato ricollocato un mosaico pavimentale del sacello dei Santi Cosma e Damiano del VI sec. d.C. proveniente dal Doss Trento e alcuni reliquari in argento e pietra.
LE COLLEZIONI ARCHEOLOGICHE
Fondato nel 1853, il Museo conserva numerose testimonianze archeologiche raccolte in Trentino e Alto Adige/Südtirol, grazie all’opera appassionata di collezionisti e della Soprintendenza dello Stato.
Le raccolte offrono una visione d’insieme sul succedersi di culture e influssi dalla Preistoria all’Altomedioevo. I ritrovamenti più antichi risalgono alla fine del processo di popolamento avviato da cacciatori nomadi, giunti da sud dopo il ritiro dei ghiacci, attorno a 11.000 anni a.C., nel Paleolitico Superiore.
L’affermarsi delle nuove identità nazionali nell’Ottocento e le laceranti contrapposizioni sfociate nelle due guerre mondiali, attribuirono all’archeologia un’importanza fondamentale, a sostegno di rivendicazioni nazionalistiche.
Molti dei “cultori di storia patria” coinvolti nella formazione delle collezioni, furono accesi sostenitori dell’italianità del territorio: è il caso del Conte Benedetto Giovanelli (1775-1846) podestà di Trento, cui si deve il primo nucleo collezionistico del Museo.
DALLA CACCIA E RACCOLTA
ALL’AGRICOLTURA E ALLEVAMENTO
Con la progressiva diffusione dell’agricoltura e dell’allevamento, a partire dal Neolitico (5.500-3.500 a.C.), l’uomo si trasforma da predatore in produttore.
La nuova economia comporta modelli di vita più stanziali, possibilità di accumulare risorse alimentari e forme di differenziazione sociale.
Queste trasformazioni coincidono con l’introduzione di innovazioni tecnologiche. Compaiono contenitori in ceramica, asce e scalpelli in pietra levigata che inizialmente coesistono con strumenti in pietra scheggiata secondo le tecniche tradizionali dei cacciatori e raccoglitori del precedente Mesolitico (9.500-5.500 a.C.).
L’ascia in pietra verde levigata, pregiata per la rarità della materia e per l’impegno richiesto dalla lavorazione, si connota come simbolo di status e di prestigio. Strumento maschile da lavoro, ma anche temibile arma, l’ascia accompagna con arco e frecce i defunti più importanti.
NEL SEGNO DEL RAME
Grandi trasformazioni sociali segnano l’innovativa produzione di oggetti in metallo fra il 3.500-2.200 a.C., nell’età del Rame.
Lo sfruttamento dei giacimenti di rame e la realizzazione di oggetti attraverso l’utilizzo del fuoco, presuppongono conoscenze tecniche sofisticate e figure professionali specializzate. L’articolazione sociale diviene più complessa, con un’intensificazione delle relazioni e degli scambi.
Queste novità socio-economiche coincidono con un aumento della conflittualità, con il conseguente consolidarsi del “potere” del maschio guerriero, documentato da corredi di armi in selce e rame e dalle statue stele.
Il possesso di armi e di ornamenti – tanto più preziosi se in metallo o di provenienza esotica – è un chiaro indice di distinzione sociale.
All’ascia in pietra levigata si sostituisce progressivamente l’ascia in rame, accompagnata da arco e frecce e da pugnali in selce accuratamente scheggiati o realizzati in rame.
NEL SEGNO DEL BRONZO
La produzione di oggetti in metallo, simboli di potere e prestigio, aumenta notevolmente e si perfeziona a partire dalla fine del III millennio a.C., con l’età del Bronzo. Per ottenere una lega destinata a conferire più resistenza agli oggetti in metallo, al rame – reperibile nelle Alpi – viene aggiunto lo stagno, proveniente da giacimenti molti distanti. Si afferma un ceto di artigiani specializzati fortemente mobile e dinamico, come mostrano le corrispondenze, a nord e a sud delle Alpi, fra manufatti e strumenti per la lavorazione del metallo, come ugelli e crogioli.
Le relazioni a largo raggio si intensificano grazie a reti di comunicazione come le “vie dell’ambra” che, attraverso i passi alpini, collegavano l’Europa settentrionale e il Mediterraneo.
Migliora la capacità produttiva dell’agricoltura: gli insediamenti divengono più numerosi, vasti e stabili. In Italia settentrionale accanto agli abitati “all’asciutto” fioriscono palafitte, come in Trentino a Ledro e Fiavé.
SIMBOLI DI PRESTIGIO E DI POTERE
Lo sfruttamento dei giacimenti di rame raggiunge anche le alte quote montane, sviluppandosi con eccezionale intensità alla conclusione dell’età del Bronzo, fra il 1350-1100 a.C.
La lavorazione del minerale è indicata da forni, da imponenti accumuli di scorie di fusione, da macine e pestelli utilizzate per frantumare la materia prima e le scorie. Il repertorio degli oggetti prodotti si amplia, comprendendo coltelli, contenitori in lamina, spille (fibule), pinzette per la cura del corpo e roncole, ideate dalle botteghe locali.
Accumuli di oggetti in bronzo integri o frammentari costituiscono forme di tesaurizzazione che riflettono la disponibilità del rame. Questa fonte di ricchezza è soggetta al controllo del ceto dominante che si distingue per il possesso della spada, emblema eroico della forza del guerriero.
La tradizione di caratteristici boccali segna l’esistenza, nel cuore delle Alpi, di un aspetto culturale unitario dalla fine dell’età del Bronzo fino alla Prima età del Ferro, fra il 1200-550 a.C.
OFFERTE PRESTIGIOSE
La singola spada gettata nelle acque o deposta su valichi e vette, rappresenta una preziosa offerta votiva. È un omaggio di segno eroico, indirizzato alla sfera divina da un personaggio eminente, come in uno scambio di doni fra capi.
Sotto l’influsso di modelli mediterranei, verso il 1200 a.C., alla fine dell’età del Bronzo, l’equipaggiamento del guerriero di rango si completa, comprendendo prestigiosi elementi di difesa: elmo, scudo e protezioni per le gambe. Le armi recano spesso decorazioni con motivi simbolici, come gli uccelli acquatici.
NEL SEGNO DEI RETI
Le antiche fonti scritte collocano le popolazioni preromane dei Reti nelle Alpi centro orientali, sopra Como e Verona. In gran parte di questo territorio fra il 550 e il 16/15 a.C. si sviluppa una nuova cultura che unifica le vallate a sud e a nord del Brennero.
Rispondono a caratteri comuni non solo il vasellame in ceramica, gli ornamenti e gli strumenti in ferro, ma anche i villaggi, le pratiche di culto e la scrittura. Questa particolare cultura alpina è convenzionalmente detta retica oppure di Fritzens-Sanzeno, dal nome di due località poste in Austria nella Valle dell’Inn e in Trentino nella Valle di Non.
I Reti recepiscono influssi provenienti sia dal mondo etrusco e italico, sia da quello celtico. Dopo la storica invasione dei Galli nel 386-388 a.C., gli apporti celtici si fanno più evidenti nell’armamento e nei gioielli di produzione locale.
Monete, ornamenti e contenitori di moda diffusi nella pianura padana romanizzata, indicano l’affermarsi fra il II e il I secolo a.C. di nuovi modelli culturali.
La guerra condotta da Tiberio e Druso fra il 16-15 a.C. sancisce il dominio di Roma anche sul territorio retico più settentrionale.
IL MEDITERRANEO NELLE ALPI
Lo stile di vita mediterraneo affascina i Reti che accolgono l’ideologia del simposio e del banchetto, accompagnata dall’introduzione di attrezzi in ferro per il focolare domestico. Si diffonde il consumo di vino, prodotto anche localmente, come testimoniano roncole per la cura delle vigne.
L’aristocrazia dei popoli alpini ostenta prestigio e potere attraverso raffinati beni di lusso di importazione, come vasellame in bronzo. Le fiorenti botteghe artigiane locali imitano prodotti esotici di derivazione peninsulare, fra cui elmi.
Dagli Etruschi stanziati nella pianura padana i Reti accolgono l’uso dell’alfabeto, adattato alle esigenze della lingua locale non indoeuropea che mostra alcune coincidenze con quella etrusca.
La scrittura è utilizzata soprattutto nella sfera magico religiosa, contraddistinta sia da tradizioni locali, come quella dei roghi votivi, sia da apporti mediterranei, evidenti nei bronzetti, nelle lamine votive e nelle rappresentazioni schematiche di divinità affiancata da teste di cavallo.
NEL SEGNO DI ROMA
La civiltà romana alla fine del I secolo a.C., sotto la guida di Augusto, espande il suo dominio sui popoli alpini, in parte già conquistati dal punto di vista culturale ed economico e in parte soggiogati con la forza delle armi.
L’autorità di Roma e i suoi nuovi modelli sociali, amministrativi, politici, economici, militari e religiosi, si diffondono rapidamente, attraverso una formidabile rete di strade, di città e nuove forme di organizzazione del territorio. Lungo l’asse del fiume Adige, in parte navigabile, costituisce una grande novità lo sviluppo monumentale della città romana di Trento: Tridentum. L’edilizia si avvantaggia di nuovi espedienti, come di tubature in piombo per l’acqua e dei laterizi, impiegati anche per il riscaldamento.
Il diffondersi della romanità si evidenzia nell’uso del latino, nella circolazione della moneta, con messaggi propagandistici, augurali e religiosi, e nei nuovi sistemi di pesatura.
La moda di Roma si riflette nella massiccia importazione di preziosi contenitori in bronzo e in vetro, in raffinate opere d’arte di marmo, in gioielli, ma anche in oggetti di uso quotidiano.
TRIDENTUM, SPLENDIDUM MUNICIPIUM
Il propagarsi della cultura romana è testimoniato dalla lastra in bronzo trovata a Cles in Valle di Non. Attraverso un editto emanato nel 46 d.C., l’imperatore Claudio stabilisce un “condono” per gli abitanti di vallate alpine – Anauni, Tuliassi e Sindoni – che si comportavano da cittadini romani senza averne il diritto, arruolandosi addirittura nelle coorti pretorie ed esercitando a Roma la funzione di giudice. Con la concessione della cittadinanza romana queste popolazioni vengono annesse allo “splendido municipio di Trento”.
Fondata verso la metà del I secolo a.C., la romana Tridentum costituisce un importante presidio per il controllo del territorio e delle vie di comunicazione. L’aspetto urbano richiama una funzione difensiva: racchiusa da mura con torri e dal fiume Adige, la città si sviluppa con la caratteristica forma quadrangolare e un ordinato reticolo di vie e spazi pubblici monumentali.
Alla raffinata vita cittadina si contrappone nelle vallate più interne un sistema economico-sociale più tradizionale.
LA CITTÀ DEI VIVI E L’ALDILÀ
La vita di ogni giorno è evocata da attrezzi da lavoro e pesi da telaio, lucerne, chiavi, vasellame da mensa e da cucina, come il contenitore per la cottura dei cibi in pietra ollare, materia estratta nelle Alpi centro-occidentali.
I segni della vita quotidiana accompagnano i defunti nel loro viaggio nell’Aldilà. Il corredo rispecchia in genere le condizioni economiche e la posizione sociale del defunto, la cui attività viene talvolta dichiarata simbolicamente da attrezzi usati in vita. La moneta, l’obolo di Caronte, è destinata a pagare il viaggio ultraterreno, mentre le lucerne, sorgente di luce, indicano la rinascita nell’aldilà. Una preziosa bambolina in osso, deposta con raffinati gioielli in un sarcofago di piombo, è la toccante testimonianza della morte di una ricca fanciulla prima delle nozze.
Le sepolture, collocate all’esterno delle mura della città, documentano la coesistenza della pratica dell’inumazione e della cremazione. Le ceneri del defunto sono raccolte dalla pietà dei vivi in pregevoli urne di vetro o di ceramica. Le iscrizioni perpetuano il ricordo dei morti, celebrando talvolta il prestigio e il ruolo sociale dei personaggi più eminenti.
Personalità di spicco dei ceti dominanti sono onorate da iscrizioni anche in vita, come nel caso di Caio Valerio Mariano.
LA RELIGIONE
Le usanze di Roma si diffondono profondamente anche nella sfera religiosa. Perdurano tuttavia culti e credenze tradizionali, come la frequentazione di aree sacre interessate in epoca preromana da roghi votivi. Divinità indigene sono identificate con quelle introdotte dalla cultura romana.
Iscrizioni, sculture in pietra e statuette in bronzo rivelano aspetti della devozione ufficiale e privata. Ricorrenti sono le testimonianze di venerazione di Ercole, di Saturno, invocato in caso di difficoltà, di Mercurio, dio dei viaggiatori, dei commercianti e protettore dei confini, di Minerva, dea guerriera probabilmente assimilata ad una divinità locale, di Diana cacciatrice e di Giove, dio del cielo, della luce, dei fenomeni metereologici e garante di patti e giuramenti. Alla sfera privata rimandano i bronzetti dei Lari, raffigurazioni degli spiriti degli antenati e delle divinità protettrici del focolare, onorati all’interno della casa. Fra le divinità astratte, rappresentate anche su monete, Concordia e Vittoria si riferiscono al culto imperiale.
A partire dal II secolo, si diffondono complessi rituali dei culti egizi e orientali, introdotti da mercanti, soldati e funzionari della pubblica amministrazione. I nuovi messaggi di salvezza rispondono alle esigenze di una società in crisi. Ricorrono attestazioni di Iside-Fortuna, in grado di orientare il destino e garantire prosperità, e di Mitra, divinità della luce di origine persiana, adorata presso grotte.
L’introduzione del cristianesimo trova resistenze nel radicamento dei culti orientali, come indica l’uccisione in Valle di Non, il 29 maggio del 397, dei missionari Sisinio, Martirio e Alessandro.
I “BARBARI”: SCONTRO E INTEGRAZIONE
A partire dal III secolo, i “barbari” minacciano i confini e la stabilità del vastissimo impero romano che per ragioni di natura economica, sociale e militare si disgrega. Dopo aver devastato l’Italia settentrionale, i Visigoti di Alarico nel 410 saccheggiano Roma. Nel 476 il generale barbaro Odoacre depone Romolo Augustolo, ultimo imperatore d’Occidente e si avvia il periodo dei regni romano-barbarici. Il 493 segna il sopravvento dei Goti di Teoderico.
La Valle dell’Adige è terra di confine, di scontri e di scorrerie. Nel clima di insicurezza si consolida un sistema difensivo con fortezze e presidi – castra e castella – collocati in posizione strategica. Seppure ridimensionata, Trento è sede di una stabile classe dirigente aristocratica: resta l’unica città del territorio dove si aggregano Goti, Eruli, Bizantini e Longobardi.
Dopo una lunga guerra (535-553) l’esercito bizantino di Giustiniano sconfigge i Goti. Nel 569 i Longobardi invadono l’Italia e istituiscono il ducato di Trento, assegnato a Evin che fronteggia le incursioni dei Franchi e si allea con i Baiuvari, sposando la sorella di Teodolinda.
Nel 774 Carlo Magno pone fine al regno longobardo e riunisce sotto un’unica corona territori posti a nord e a sud delle Alpi, avviando importanti riforme nella politica, nell’economia e nelle arti.
SEGNI DELLA FEDE
Dalla metà del IV secolo Trento è sede vescovile e assume un ruolo centrale nella diffusione del cristianesimo. La venerazione delle spoglie dei tre martiri uccisi nel 397 in Valle di Non e del loro vescovo Vigilio, determina lo sviluppo di una chiesa-memoriale (basilica), all’esterno delle mura cittadine, dove nel XIII secolo sorge il Duomo. La chiesa cattedrale (ecclesia) con la residenza del vescovo, si colloca invece all’interno della città fra le case, nella zona dell’attuale chiesa di Santa Maria Maggiore.
L’elenco dei primi vescovi mostra il netto prevalere della componente etnica romano-latina, mentre nel IX secolo ricorrono nomi di origine franca e germanica.
Fra il V-VI secolo la fede cristiana si diffonde e si realizzano oratori ed edifici di culto nel territorio. Il ruolo del vescovo si potenzia anche nella sfera civile, come mostra la trattativa del vescovo Agnello per liberare i prigionieri catturati dai Franchi nel ducato di Trento nel 590.
Segni dell’adesione alla nuova religione si rintracciano in epigrafi, opere scultoree, oggetti di uso quotidiano che recano motivi simbolici paleocristiani. Preziose croci in oro sono cucite sui sudari di ricchi defunti nel periodo longobardo.
SEGNI DEL PRESTIGIO
Armi e preziosi gioielli distinguono i membri delle classi sociali elevate, rispecchiando tradizioni e innovazioni di una comunità ormai multietnica. L’integrazione dei “barbari” nella società romana genera una reciproca assimilazione di elementi del costume.
Diversi gioielli impreziosiscono l’abbigliamento delle donne: pregiati modelli in oro e argento ispirano una più modesta produzione locale in bronzo. Il corredo della tomba femminile di Civezzano che comprende orecchini in oro e ametista, broccato in oro e cinturine da calza in bronzo dorato, mostra lo sfarzoso lusso dell’aristocrazia longobarda.
Le armi, deposte nelle tombe maschili, sono cariche di valenze simboliche: richiamano lo status sociale dell’uomo libero, legato ai gruppi che detengono il potere militare. I personaggi di rango sono accompagnati nella tomba, a seconda dei periodi, dalla lunga spada a due tagli e da una sorta di pugnale, dalla lancia e dallo scudo. Anche la cintura rientra fra gli elementi simbolici, tanto da essere oggetto di trasmissione ereditaria. Questi segni del prestigio scompaiono dalle sepolture nel tardo VII-VIII secolo, con l’affermarsi dei nuovi modelli del cristianesimo.
IL DOSS TRENTO, RIFUGIO E LUOGO DI CULTO
Incursioni e invasioni dei “barbari” che si susseguono dal III secolo, inducono la popolazione delle valli alpine a cercare rifugio in insediamenti fortificati. Per la comunità di Trento il castellum Verrucas - Doss Trento, rappresenta un luogo protetto dalla natura, grazie alla particolare conformazione del rilievo roccioso, isolato nel fondovalle e lambito dal fiume Adige.
Le formidabili potenzialità difensive del dosso, spingono lo stesso re Teoderico, nel 505-511, a invitare Goti e Romani a costruire delle abitazioni sul castellum Verrucas, nel quadro di una strategia di protezione del territorio che vede anche la realizzazione o il consolidamento di altre roccaforti.
Il Doss Trento è pure luogo di culto: dal V secolo vi sorge una basilica paleocristiana e un antico oratorio dedicato, probabilmente per influssi bizantini, ai Santi Cosma e Damiano. Dall’oratorio provengono i pregevoli mosaici risalenti all’epoca del vescovo Eugippio (530-535 d.C.). Nella zona della basilica sono sepolti personaggi di rango.
SEGNI DEL CRISTIANESIMO
All’antica chiesa di Santa Apollinare, posta ai piedi del Doss Trento, appartiene un prezioso reliquario in argento, decorato al centro con la figura di un santo e ai lati con intrecci di animali. Diffusi a partire dal VI secolo, questi reliquari sono deposti all’interno di cofanetti sotto l’altare, all’atto della consacrazione. Sono un’importante testimonianza della diffusione del culto delle reliquie nel territorio trentino.
Alla liturgia cristiana era destinato pure il celebre Sacramentario Gregoriano, codice databile ai primi decenni del IX secolo. La pregevole placchetta in avorio utilizzata nella rilegatura risale all’VIII secolo, al periodo carolingio: vi è rappresentato un santo evangelista, nell’atto di scrivere il testo sacro, secondo un’iconografia che risale all’epoca tardo classica, quando all’inizio del volume si usava presentare il ritratto dell’autore.